PIETRA OLLARE Valtellina

LA LAVORAZIONE DELLA PIETRA OLLARE VERDE DEL PIRLO: IL CLORITOSCISTO
1 . La storia
Dagli studi fatti alla metà del secolo XX da Enrico Besta e da altri studio valtellinesi su reperti archeologici in Pietra Ollare trovati in seguito a scavi avvenuti a Tresivio (perni, fusaruoli, rocchetti e frammenti di lavaggio con segni inconfondibili della lavorazione al tornio ottenuti con la pietra della Valmalenco) è probabile che l’attività risalga all’epoca preistorica dell’età del ferro. E già nel primo secolo d.C. il naturalista Plinio il Vecchio accenna alla lavorazione al tornio di vasi fatti con la pietra verde comasca, così chiamata per dare una risonanza nazionale essendo Como capoluogo della Curia che comprendeva e comprende tuttora la Valtellina. La lavorazione fu certamente iniziata in Valchiavenna, ma seguita a ruota dalla Valmalenco se consideriamo le 40 cave sfruttate e i 50 torni esistiti lungo i torrenti Mallero, Giumellini e soprattutto Sassersa; gli artigiani addetti a questo lavoro potevano essere circa un centinaio. Dai registri di morte che partono dalla fine del XVII secolo, risultano gli unici lavoratori artigiani ad essere qualificati: cavatori di Pietra Ollare e laveggiai. Nei periodi invernali estraevano dalle cave sotterranee la pietra dalla roccia con picconi a doppia punta detta “asisc” il blocco a forma tronco conica, che isolato prende il nome di “ciapùn”, riuscendo a ricavare dallo stesso pezzo una serie di pentole dette “levèc” partendo dalla più grande alla più piccola, dividendole una dall’altra, prima incidendo la parte verticale “spunda”, poi il fondo che è la parte più delicata, con un particolare attrezzo ad uncino detto “sudùn”. Finita la tornitura, il “levèc” veniva armato con una cerchiatura metallica per poterlo maneggiare, eseguita soprattutto dagli stagnini di Lanzada ”magnàn” che pensavano anche al commercio. Nelle vallate alpine l’uso di questa pietra tenera era del tutto normale perché in mancanza del metallo si rese necessaria per costruire recipienti resistenti al calore e contenitori di conservazione, utili per i fabbisogni domestici. Ancor oggi, grazie alla formazione strutturale della pietra, il “levèc” è ricercato e possiede eccellenti proprietà culinarie che non si riscontrano negli altri manufatti della più moderna tecnologia. In modo particolare si presta per cucinare brasati, stufati, intingoli, cacciagione, salmì, fondute, trippe e minestroni, mantenendo inalterate tutte le proprietà organolettiche dei cibi. Ollare è un nome tecnico attribuito all’epoca dell’impero romano a tutte quelle pietre tenere di facile tornitura dalle quali si ricavano pentole e contenitori di cibi e oli, chiamate “olle” da cui il nome “ollare”. La pietra è una varietà di serpentino ed è in prevalenza silicato di magnesio; si divide in due gruppi principali: talcoscisto e cloritoscisto. Si distinguono tra loro per la struttura cristallina, lamellare, granulare, durezza e colore. Il bianco grigiastro, che ha come componente principale il talco, è il talcoscisto che si trova in abbondanza lungo l’arco alpino italiano, sfruttato in 30 zone, anche in Valbrutta nel comune di Lanzada in Valmalenco. Il cloritoscisto invece è molto più raro e pregiato: il componente principale è la clorite che dà il tipico colore verde; si trova anche in quattro zone del Piemonte, ma il filone più importante è in Valmalenco sfruttato da ben 40 cave di cui due ancora attive. I cloritosciti sono il risultato delle trasformazioni metamorfiche su filoni basici presenti nel cospicuo ammasso ultrabasico che ha dato origine alle serpentiniti. Col nome di Pietra Ollare verde del Pirlo, il cloritoscito di Chiesa ha per componente principale la clorite, presente per oltre il 95% sotto forma di un fitto feltro di piccole lamelle verdi che si intersecano lasciando dei vuoti da formare una roccia compatta di alta potenzialità termica.
2 . L’analisi
L’esame microscopico eseguito dall’Università di Roma dal prof. Mottana, rileva in particolare che le lamelle si accavallano in due direzioni perpendicolari tra loro, così la scistosità risulta poco accentuata. L’analisi ai raggi X ha stabilito che la clorite e turingite, varietà ferrifera di chamosite, ha composizione: (Fe11,92 Mg0,08)12 (Al2,12 Si5,88)8 O20 (OH)16. Più recenti analisi (da Bedognè, Montrasio, Scesa, 1993), qualificano la clorite che compone la Pietra Ollare come una varietà ferrifera di clinocloro (ripidolite).
3 . L’attuale estrazione e lavorazione
Dal 1960 in poi, la pietra veniva estratta non più a mano, ma con delle perforatrici ad aria compressa mediante una continuità lineare di fori. Attualmente l’estrazione viene fatta con filo elicoidale quale conduttore di sabbia silicea che scorrendo su una serie di carrucole per abrasioni taglia la pietra in controvena, poi staccata con facilità lungo la scistosità. Per quanto constatato sono le uniche cave in sotterraneo in Italia ad usare questo ingegnoso metodo. Ora i torni sono meccanici, certamente meno tipici, ma il procedimento di lavoro rimane uguale al vecchio; gli utensili sono gli stessi manovrati a amano dal tornitore per cui il risultato del lavoro dipende esclusivamente dalla sua abilità. Da un lavoro legato prettamente alla funzione domestica della cucina, dall’inizio del corrente secolo la produzione timidamente si estese all’oggettistica d’arredamento: candelabri, vasi da fiori, bomboniere, posacenere, servizi da fumo, da the, da caffè, ecc. Dopo gli anni ’30 gli oggetti torniti venivano abbelliti con decorazioni in graffito o bassorilievo con gusti e forme sempre più raffinate, fino ad arrivare alla produzione di oggetti e sculture di vero pregio artistico. Tutte queste attività rurali ed artigianali malenche fanno parte di quel patrimonio etnografico costruito nei secoli dalla gente malenca in funzione della sopravvivenza e sviluppato in equilibrio fra uomo e ambiente.
4 . Caratteristiche e utilizzo del “levèc”
Grazie alla sua eccellente proprietà termica, la Pietra Ollare è una delle poche pietre naturali adatte a cucinare a alla conservazione dei cibi. Il “levèc” pentola si riscalda lentamente e raggiunta la temperatura voluta la mantiene costante con una modestissima fonte di calor, cocendo i cibi senza che attacchino al fondo. Tolta dal fuoco si raffredda altrettanto lentamente mantenendo a lungo il calore del cibo. Gli avanzi possono rimanere nella pentola per alcuni giorni ed essere riscaldati senza perdere il sapore e la sostanza organolettica. Il “foragn” contenitore consente di conservare a lungo cibi come formaggi, carni, condimenti e altre sostanze, spezie, aromi, Sali, tabacchi, ecc. Era semplicemente il frigorifero dei nostri nonni.
5 . Istruzioni per l’uso della pentola “levèc”
Per un corretto utilizzo: 1. Ungere bene la pentola all’interno e all’esterno con burro oppure grasso od olio e lasciare che si impregni bene per due o tre giorni 2. Per evitare incrinature dovute ad una irregolare dilatazione, è consigliabile cucinare, per la prima volta, minestroni o bolliti con fuoco di legna oppure sistemando la pentola in forno elettrico. Dopo di che è possibile usare tranquillamente il “levèc” anche con gas o altra fonte di calore fissa, usando la retina o una piastrina in ghisa spargifiamma. Dopo queste iniziali precauzioni la pentola sarà in grado di cucinare qualsiasi tipo di cibo senza paura che possa rompersi. Importante: evitare sbalzi termici; non versare mai acqua fredda nella pentola calda. Per la pulizia: lavare come qualsiasi altra pentola con sapone in scaglia o con il semplice sapone liquido usato per i piatti.